Cimitero di guerra canadese Agira
Agira il Cimitero di guerra canadese è situato su una piccola collina nel comune di Agira e la Provincia di Enna, nel cuore della Sicilia, circa 70 chilometri da Catania. Dopo la campagna siciliana si è presa la decisione di concentrare in un unico cimitero le tombe di tutti i canadesi che hanno dato la vita nella lotta contro l'isola, e nel settembre del 1943 i funzionari canadesi hanno scelto il sito a Agira. Esso contiene le tombe di 490 canadesi (13 membri della RCAF e 477 dell 'esercito), sei dei quali non identificati. Va ricordato, un certo numero di morti di guerra sono tombe che non sono noti (tra cui 58 canadesi che annegati convogli quando sono stati attaccati in rotta verso la Sicilia). I loro nomi sono commemorato a Cassino Memorial terraferma in Italia. Visita virtuale In tutto, si stima che 562 canadesi morti in seguito a questa campagna. Storia 1 ° Divisione di Fanteria canadese e il 1 ° Armata canadese Tank Brigade (sia parte del generale Montgomery's Ottava Armata) navigato dal Regno Unito nel mese di giugno 1943 e sbarcati nel sud della Sicilia 10 luglio con i loro alleati dal Regno Unito e Stati Uniti. Agira è stato uno di una serie di città siciliane prese dalla canadesi in quanto avanzata verso nord attraverso le montagne e l'isola di caldo, terreno sterile verso lo Stretto di Messina. La città cadde il 28 luglio - tre giorni dopo le dimissioni di Mussolini - e dopo cinque giorni di duri combattimenti in ciò che si è rivelato i canadesi 'più grande battaglia della campagna siciliana. Nel suo libro, I canadesi in Italia 1943-1945 (volume II di "La storia ufficiale del Canadian Army durante la Seconda Guerra Mondiale", Ottawa, Queen's Printer, 1956, pp. 133-134), LCol GWL Nicholson descrive l'ingresso dei canadesi: ... mezzogiorno circa un ufficiale del 1 ° Reggimento campo canadese, il cui desiderio di selezionare una buona prospettiva per il suo compito di osservare il fuoco per Patricias aveva portato lui a destra in Agira, non ha riscontrato alcun segno di attività nemico, ma le strade affollate di gente che gli ha dato il benvenuto con entusiasmo. Il bombardamento è stato annullato, a 2:30 e PPCLI due società è entrata nella città. Essi ricevuto un ovation dalla popolazione in periferia, ma in quanto la salita ripida strada nel cuore di Agira hanno incontrato un diverso tipo di benvenuto dal nemico sacche di resistenza. Che ha richiesto due ore di casa abbastanza rigido-a-casa e la lotta contro l'occupazione di una terza società di fucile, come pure l'assistenza di uno squadrone di carri armati per cancellare la città. Sicilia cadde completamente gli alleati a 17 agosto dopo 38 giorni 'combattimenti. Il 6 agosto in seguito alla cattura di Adrano, i canadesi, che ha marciato più lontano nella campagna di qualsiasi altra formazione nella Ottava Armata, sono stati ritirati a riposo, e quindi non ha partecipato negli ultimi 10 giorni di battaglia. Ma durante il loro mese in campo che avevano acquisito un'esperienza preziosa e fiducia in se stessi. Avevano subito battaglia anche vittime. Dopo la campagna siciliana si è presa la decisione di concentrare in un unico cimitero le tombe di tutti i canadesi che hanno dato la vita nella lotta contro l'isola, e nel settembre del 1943 i funzionari canadesi hanno scelto il sito a Agira. Esso contiene le tombe di 490 canadesi (13 membri della RCAF e 477 dell 'esercito), sei dei quali non identificati. Va ricordato, un certo numero di morti di guerra sono tombe che non sono noti (tra cui 58 canadesi che annegati convogli quando sono stati attaccati in rotta verso la Sicilia). I loro nomi sono commemorato a Cassino Memorial terraferma in Italia. In tutto, si stima che 562 canadesi morti in seguito a questa campagna.
Castello di Tavi Agira
Di fronte alla città di Leonforte, al di là della vallata del Crisa Dittaino, si erge una ripida cresta rocciosa, costituita da lenti di quarzarenite, che giunge ad una altezza massima di 517 m. s.l.m. Questa cresta conserva la più antica testimonianza della presenza umana organizzata nel Leonfortese, infatti, tra le rocce, si notano i ruderi di un castello, non grande ma certamente forte, detto Castellaccio di Tavi.Secondo o la tradizione Tavi, o Tavaca era una cittadina sicula poi ellenizzata e probabilmente scomparsa durante le guerre autonomiste siceliote scatenate dal condottiero Ducezio (430 a.C. ca).I ruderi che ci è dato di vedere oggi sono però pertinenti ad un castello medievale, probabilmente sorto in età bizantina e poi rifortificato dagli arabi, che doveva servire al controllo della importante vallata del Crisa e delle sorgenti copiosissime che da sempre hanno rappresentato la ricchezza dell'area. La vera Tavaca probabilmente sorgeva invece dove oggi sorge la parte più antica di Leonforte, il quartiere della Granfonte. Ivi, infatti, il tessuto urbano è del tutto differente da quello di impianto illuministico e regolare voluto da Placido Branciforti e potrebbe nascondere una preesistenza alla fondazione, il casale di Tavi.Il castello era certamente in uso durante il regno di Ruggero I Altavilla, infatti di esso e del casale parla il geografo Ibn al Idris nel sui "Libro di Re Ruggero" descrivendolo: "Tavi è un bel castello ed elevato fortilizio con terre da seminare ed acque" (1154).Nel 1200 il feudo e tenimento di Tavi sarebbero passati alla famiglia De Parisio.Nel 1300 il Castrum Tabarum si ribella contro Federico III.Nel 1320 la baronia di Tavi pervenne a Ruggero Passaneto già signore di Grassuliato e di Palagonia. Poi fu infeudato al Blasco Alagona, uomo di notevole potere politico nella Sicilia tardo medievale, quindi del figlio Artale e poi per volere di re Martino I di Antonio Ventimiglia Conte di Geraci. In seguito a ribellione di quest'ultimo il castello passa nel 1397 a Bernardo Berengario di Parapertusa, a cui succede nel 1453 Guglielmo Castellar alias de Parapertusa, e da questi venduto nel 1483 a Pietro Campo. Nel 1484 si investì del castello di Tavi Giovanni Anzalone che lo aveva acquistato da Pietro Campo.Passato nelle proprietà della famiglia Berlingerio di Pietraperzia con Bernardo, pervenne quale dote di nozze a Belladama Alagona sposa nel 1487 con Niccolò Melchiorre Branciforte. Da questa data Tavi rimane feudo della famiglia fino alla abolizione della feudalità.Nel 1610, il discendente di quest'ultimo, Niccolò Placido Branciforte chiese ed ottenne la Licentia Populandi per la Baronia di Tavi ed iniziò la costruzione della novella Leonforte.Con la fondazione di Leonforte a partire dal 1614, il castello di Tavi perdette ogni importanza, cedendo le sue prerogative al palazzo Branciforti edificato in città; il castello va incontro alla distruzione.Sulla rupe del castello si notano bocconi di possenti muraglie, una delle quali munita di una finestra quadrangolare, vani sotterranei voltati e scavati nella roccia, un frantoio ricavato direttamente nella roccia e munito di due vasche.La proprietà è privata e i resti del castello (una notevole cinta muraria, due grandi cisterne scavate nella roccia, ed un locale di circa metri 7x4 dotato di volta a botte lunettata)sono in abbandono.Ci si va da Leonforte, imboccando la strada della Favara.
Vallone di Piano della Corte
La Riserva Naturale Orientata "Vallone di Piano della Corte" si estende su di una vallata che appartiene agli Erei centrali. L'area protetta chiude la parte più a monte di un torrente affluente del Dittaino e dunque tributario del Simeto. Il corso delle acque, a carattere fortemente torrentizio, crea una serie di forre ove l'acqua ristagna creando dei microambienti di straordinaria bellezza. Dal punto di vista botanico le principali emergenze sono rappresentate dalla vegetazione forestale igrofila e da quella erbacea anfibia di fondovalle. Lungo l'alveo del torrente, si trovano popolamenti a specie erbacee igrofile o anfibie che, insieme alla boscaglia ripariale, rendono il Vallone un ambiente di grande pregio naturalistico. Sui versanti del vallone, nonostante la forte antropizzazione, si rinvengono lembi di querceto che rappresentano gli ultimi resti dell'originario mantello forestale del territorio. Geologicamente, la riserva si estende su di una vallata che appartiene agli Erei centrali. L'area protetta, che chiude la parte più a monte di un torrente affluente del Dittaino, è solcata da una incisione piccola e stretta, lunga 7 km, percorsa occasionalmente da un torrente che mette a nudo la geologia della valle. Visto il carattere torrentizio e la natura del terreno, i versanti sono soggetti a un'intensa erosione e sono modellati da numerosi movimenti franosi. D'estate, nel fondovalle, quando il torrente è in secca, questo flusso continua sotterraneo mentre nel settore montano, caratterizzato da un substrato permeabile costituito da arenarie calcaree plioceniche, una parte dell'acqua si infiltra rapidamente nel terreno. Nel settore mediano del vallone affiorano rocce sedimentarie prevalentemente impermeabili: le marne argillose azzurre che consentono la formazione di pozze e conche di acque limpide che ornano l'alveo, creando dei microambienti di straordinaria bellezza. La parte meridionale della valle è caratterizzata da depositi che costituiscono dei ripiani elevati sul fianco della valle a formare i terrazzi alluvionali. La loro costruzione risale a periodi antichi in cui l'alveo si sviluppava a quote più elevate. In altre parole la loro superficie costituiva il letto del corso d'acqua, che successivamente si è approfondito.
Panorama-Troina
È un comune ubicato all'interno del Parco dei Nebrodi.La sua storia è Millenaria Scavi recenti hanno individuato insediamenti umani risalenti al neolitico (una fattoria del 6000 a. C.) e la necropoli ancora visitabile e sita sul monte Muganà testimonia della vita preistorica della cittadina. Resti del periodo greco risalenti al IV secolo a.c. si trovano lungo le mura di cinta della Citta. Resti di terme romane ci ricordano che il periodo che va dal I sec. a C. al II sec. fu discretamente florido per Troina, che molto probabilmente in quei secoli aveva per nome Engyon.I normanni vissero a Troina momenti importanti della loro storia. Ruggero I di Sicilia scelse Troina come avamposto per la conquista dell'intera isola. Prese il Castello nel 1061 e istituì un presidio che durò per più di trent'anni. Nell'agosto del '43, dopo che gli Alleati erano sbarcati in Sicilia poche settimane prima, il territorio di Troina diviene campo di una storica battaglia che dal giorno 1 al 6 del mese vede impegnati i soldati americani, che avanzano verso Messina, a contrastare la resistenza di un nucleo di tedeschi arroccati in paese. I giorni di battaglia, cruenti e nefasti per la popolazione, che ebbe più di 100 vittime, e per l'abitato, in gran parte ridotto a macerie verranno fotografati da Robert Capa.
Duomo-di-Enna
Il Duomo di Maria SS. della Visitazione è la Chiesa Madre di Enna, nonché monumento nazionale e tra le maggiori espressioni d'arte nella provincia di Enna.
Il Duomo sorge nel centro storico della città, e si affaccia su Piazza Mazzini, della quale occupa interamente la fiancata nord.
La cattedrale è stata eretta sulle rovine del Tempio di Proserpina, nel 1307, per ordine di Eleonora d'Angiò, moglie di Federico III d'Aragona, per la nascita di Pietro, loro figlio, ma nel 1446 un grave incendio la distrusse tutta tranne un abside e una parte del fianco destro , così Papa Eugenio IV indisse un Giubileo della durata di 7 anni per raccogliere i fondi necessari alla ricostruzione dell'importante edificio di culto, a causa dell'insufficienza di denaro raccolto il re Alfonso D'Aragona vendette varie terrel, con il ricavato riuscì a ricostruire la chiesa nel XVI secolo
Piazza-Mazzini-Enna
Fiancata laterale del Duomo, su piazza Mazzini: si notano i due portali, di S. Martino e appresso del Giubileo al centro della Piazza si erge la statua del Mazzini.
Castello di Lombardia
Castello di LombardiaL'inespugnabile Castello di Lombardia a pianta pentagonale e torri quadrate, sorge sul monte che sovrasta Enna.
Le origini della antichissima rocca si perdono nell'oscurità della leggenda la quale narra che in quel luogo vi fosse la residenza di un rè sicano e della Dea Cerere sua moglie.
E di Proserpina narra; la meravigliosa sua figlia che, dolcemente intenta a raccoglier fiori, venne rapita da Plutone e con lui sprofondò nella terra, ove per incanto si formò subito un lago, chiamato poi Pergusa.
Il castello, scelto come propria dimora da Federico II d'Aragona, per alcuni studiosi deve il suo nome ai musulmani che pare chiamassero i normanni col nome di lombardi, altri vogliono che esso provenga da una colonia di gente lombarda ospitata nel castello dal gran conte Ruggiero nel 1086, mentre invece potrebbe verosimilmente aver preso nome da quell' Enrico di Lombardia che ebbe in moglie Flandrina figlia di Ruggiero.
Sembra accertato comunque, che furono gli svevi, nel 1233 circa, a dargli sviluppo ed imponenza, ma l'improvvisa morte di re Federico, nel 1250, ed il desiderio di libertà comunali spinsero il popolo di Enna ad assalire il castello, uccidendovi il castellano Guaimario.
Nel 1261 si vuole che abbia avuto qui termine la vita del famoso avventuriere Giovanni di Cocleria, catturato da Manfredi (figlio di rè Federico del quale il Cocleria sfruttava una straordinaria somiglianza) ed impiccato in un cortile del castello.Verso il 1300 vi dimorò rè Federico II d'Aragona mentre, successivamente, il figlio Pietro II alternò spesso la sua residenza tra il castello Ursino di Catania e la rocca ennese.Nel 1458 vi fu convocato il Parlamento Siciliano.
In seguito (1666) il nuovo sovrano Carlo II, di appena quattro anni di età (sotto la tutela della madre, regina Marianna), ne riconfermò simbolicamente il possesso al castellano del tempo, con solenne cerimonia.
Durante le feste per la incoronazione un imponente corteo giunse davanti al castello e il castellano, portando sopra un piatto d'argento le chiavi di esso, si avanzò offrendole al capitano il quale glie ne fece solenne riconsegna nel nome del re.
Per secoli dalle sue storiche porte, vittoriosi o sconfìtti, passarono i dominatori dell'isola sempre aspramente contesa.Infine i Borboni vi fecero soltanto fugaci visite, amando assai più i grandi ed accoglieenti palazzi che il rude castello turrito, dalle alte e granitiche mura.Veduta aerea del castello
Oggi, per troppo lungo abbandono, di questo colosso architettonico rimane assai poco ma si ha notizia di vaste sale, di orrende prigioni sotterranee e di una chiesa (di S. Martino) costruita dai normanni tra le sue mura.
All'interno si può visitare la chiesetta e l'abitazione dell'imperatore.
Delle sue venti poderose torri oggi sono visibili i resti di soltanto sei torri, di cui tre rimangono pressoché intatte e tra queste la Pisana o Torre delle Aquile, ornata da merli guelfi, detta Pisana poiché si vuole che al tempo dei normanni nel presidio del castello vi fossero pisani dai quali essa avrebbe preso nome.
Il perimetro della cinta misura 1.250 passi, mentre l'intero complesso, per la vastità della superficie poteva offrire un comodo ricovero per la popolazione locale e per la guarnigioneLa porta principale del castello si apre verso la città, una seconda porta si apre nel muro di ponente, mentre una terza, "la porta falsa", si apre verso mezzogiorno.
In uno dei grandi cortili, trasformato in teatro estivo, si svolgono ogni anno pregevoli spettacoli lirici e la divina musica par quasi una preghiera per la remota gente che qui visse e scomparve.
More info :
http://www.comune.enna.it
http://www.castellodilombardia.com
Aperto tutti i giorni dalle ore 8,00 alle 20,00 Ingresso gratuito Tel. 0935/500962
Castello di Sperlinga
Tra i Nebrodi e le Madonie, quasi al centro della Sicilia, incastrato in un'alta roccia, che sovrasta tutte le altre sulle quali è costruito il paese, sorge il castello in parte scavato in una gigantesca mole d'arenaria dai Siculi a partire dal XII secolo a.C., e in parte costruito sulla stessa roccia intorno all'anno Mille.Veduta del castello
La fortezza di Sperlinga deriva il suo nome dal termine latino spelunca, che significa "antro naturale profondo e oscuro". Edificato intorno al 1082, sfrutta ed utilizza la roccia come piano costruttivo. E' composto, infatti, sia da ambienti scavati all'interno della rupe e caratterizzati da rustici pilastri in pietra, sia da strutture architettoniche disposte sui suoi fianchi. I livelli del castello sono molteplici: le stalle, le tremende prigioni, tuttora ben visibili, e le fucine dove erano forgiate le armi si trovano nelle grotte scavate nella roccia. Pure nella roccia, ma ad un livello inferiore, c'erano le grotte che fungevano da granai. Vi si accedeva mediante ponte levatoio di cui si vedono ancora le mensole.Fra i castelli rupestri della Sicilia, quello di Sperlinga è sicuramente uno dei più affascinanti.Reso famoso dalle vicende dei Vespri siciliani, la cui strage durò un mese (e durante la quale, come si narra, gli insorti per distinguere di notte i francesi dai siciliani, facevano ripetere la parola «ciciri» dalla inconfondibile pronuncia) il castello fu il solo dal quale nel 1282, una guarnigione francese resistette per tredici mesi alle armate dei ribelli siciliani opponendo una strenua resistenza.
L'episodio è ricordato da una scritta postuma (sec. XVI) sull'arco nell'androne: QUOD SICULIS PLACUIT SOLA SPERLINGA NEGAVIT. («Sola Sperlinga acconsentir non volle a quel che fé tutta Sicilia insieme»).In seguito a questo atteggiamento di Sperlinga rè Pietro I d'Aragona (1283) avrebbe ordinato la demolizione del castello, cosa che però non avvenne o almeno non completamente.Esso fu invece «bollato» col famoso motto di Stampacui sopra, passato alla storia ed inciso su due piccole pietre poste sopra la seconda porta d'ingresso, dove figura tuttora.Piccola iscrizione, densa di tanta drammaticità.Di quelle giornate si racconta che gli sperlinghesi, chiusi nel castello con i francesi, per far credere alle squadre palermitane assedianti di avere ricche provviste, suonassero le campane delle pecore come se vi fosse ancora un armento e mungessero il latte alle loro donne per farne piccoli caci che gettavano fuori le mura. Malgrado questi stratagemmi, usati altre volte in quei tempi, sembra che l'assedio sia stato tenuto così a lungo da farvi morire di fame siciliani e francesi.In quel tempo era signore di Sperlinga Russo Rosso il quale, cessata l'occupazione angioina,ne perdette l'investitura.
Successivamente divenne feudale dimora dei Ventimiglia e da questi, per linea femminile, metà del castello pervenne al Ferrara di Gragnano i cui discendenti lo abitarono sino al 1820, (anno in cui passò interamente al duca Oneto). Nella signoria dell'altra metà, a Francesco Ventimiglia conte di Geraci (1296) successe il figlio Emanuele che la vendette a Federico suo fratello.Il 9 agosto 1600 Giovanni Ventimiglia marchese di Ceraci la cedette (per 30.834 scudi) a Giovanni Forti Natoli il quale ottenne da rè Filippo III di Sicilia, il titolo di principe di Sperlinga. Subentrato nella signoria di tale metà del castello il figlio Francesco questi, nel 1662, la vendette a Giovanni Stefano Oneto, trattenendo per sé il titolo di principe di Sperlinga. Poco dopo però, nel 1667, rè Carlo II concedette all'Oneto un nuovo titolo di duca di Sperlinga.
Divenuta questa famiglia, come si è detto, proprietaria dell'intero castello, il suo discendente Giuseppe Oneto Lanza duca di Sperlinga, nel 1867, lo cedette in enfiteusi al barone Nunzio Nicosia ed oggi esso è proprietà dei baroni Li Destri.Con tale concessione la famiglia Oneto si spogliò di questo suo patrimonio storico tanto importante che poi, in completo abbandono, rovinò lentamente e del quale rimane quasi soltanto ciò che il tempo non potrà mai distruggere: le naturali formidabili rocce.
Della sua passata gloria rimangono una parte delle antiche mura, tracce di merlatura, gli archi di due porte, la bifora Biforaconsiderata monumento nazionale, la sala di rappresentanza del principe, la cappella e la ripida scalinata intagliata nella pietra che conduce alla torre d'avvistamento della quale rimane soltanto la base con la bella porta ad arco acuto.
Oltrepassato quello che doveva essere il ponte levatoio, si entra ,infatti, in una serie di ambienti che portano nel cuore del castello, dove l'ingegno dell'uomo si fonde con la bellezza della natura: la roccia diventa ora scuderia, capace di ospitare decine di cavalli, ora officina per i metalli, e poi carcere e serbatoio per l'acqua, oppure magazzino per le derrate. Curioso è un ambiente circolare che presenta nella parete dodici piccole nicchie distanziate tra loro con interspazi crescenti: l'arcana grotta secondo alcuni era un luogo di culto, secondo altri ospitava un particolare sistema per la misurazione del tempo. Scuderie
Le ripide scale, quasi incise nella roccia, portano alla torre, dai cui merli il mondo sembra stare ai piedi di chi guarda regalando al turista una vista a 360° sull'altopiano di Gangi, con il massiccio delle Madonie alle spalle e i monti Nebrodi a nord.
Un altro "spettacolo è dato dall'"aggrottato": tutto il fianco del castello che si riversa sul paese è interamente "traforato" da una cinquantina di grotte artificiali, scavate dall'uomo in tempi lontanissimi. Collegate le une alle altre da stradine e scalini anch'essi ricavati dalla rupe, costituiscono, nel loro insieme, un suggestivo borgo rupestre. Scalinata del CastelloOgnuna, al suo interno, si è trasformata in umile abitazione, con una o due stanze al massimo che ancora recano i segni dei millenni trascorsi lì dentro. Alcune sono state acquistate dal Comune e adibite a museo etnografico. Ai piedi del castello si trova la chiesa della Mercede, dove si conserva un pregevole crocifisso ligneo che un tempo era posto nella chiesa interna della rocca. La chiesa Madre, a navata unica e molto semplice, fu fatta costruire dal principe Giovanni Natoli a partire dal 1597. La terza chiesa del borgo è quella di S. Anna: la costruzione, della seconda metà del '600, è annessa ad un convento degli Agostiniani e custodisce un crocifisso ligneo della scuola di Frate Umile da Petralia.
Tutta la zona intorno a Sperlinga è, come dice il nome, ricca di spelonche, di grotte scavate nella roccia arenaria. Tra i siti rupestri più interessanti si segnalano quello di Contrada Rossa, che forse ospitava una comunità paleocristiana (sulla cui chiesa è stata successivamente impiantata una moschea, come si può notare), quello della Contrada SS. Quaranta, nelle cui grotte sono ricavate nicchie sepolcrali dei sec. IV-VI sec. d.C, e quello di Peirito, con tombe paleocristiane.
Come si raggiunge Autostrada Catania-Palermo, uscita Leonforte, Nicosia. Si arriva a Sperlinga dalla SS120 tra Gangi e Nicosia.
Indirizzo: Centro Urbano, Via Castello 1.
Aperto tutti i giorni dalle ore 9,30 alle 13,30 e dalle ore 14,30 alle 18,30
Ingresso € 1 ( minori 18, maggiori 65 ), € 2 ( Intero )
Castello di Valguarnera Assoro
Sulla sommità del Monte Stella è ubicato il Castello di Valguarnera.
Le notizie storiche del castello sono alquanto rare, certamente qui doveva essere in uso una fortificazione bizantina che venne espugnata nel 939 da una gualdana araba capitanata dal capo Chalil, il quale lo ricostruì e rafforzò.
Costui,infatti, una volta guadagnato il sito forte vi ricostruì il castello e modificò le forme delle muraglie. Conquistato e ingrandito dai normanni il castello passò, con un atto di vendita firmato da Ruggero II, al vescovo di Catania che ne acquisì il diritto feudale.
Pervenne poi a Scaloro I degli Uberti, parente del Farinata di dantesca memoria. Durante la lunga guerra delle fazioni fu confiscato a Scaloro degli Uberti una prima volta nel 1340, anno in cui viene affidato al Duca di Randazzo, Giovanni, fedele al partito catalano; nel 1347 l'Uberti venne perdonato e rientrò in possesso dei feudi e quindi del Castrum Asari dove, in una ulteriore vicenda bellica, nel 1351 perderà la vita.
Nel 1364 Federico IV concede la terra ed il castello a Matteo d'Aragona, un parente della famiglia reale catalana che però muore lo stesso anno senza eredi.
Nel 1366, il castello perviene a Antonio Moncada che la detiene sino al 1397, durante il periodo più buio della guerra delle fazioni. In quest' anno, il Moncada perde ogni diritto feudale e viene e sostituito nella signoria di Assoro dai fratelli Vitale e Simone Valguarnera, nobili catalani, fedelissimi alla casata aragonese, la cui famiglia rimarrà in signoria di Assoro e del vicino villaggio di Caropepe sino alla fine del feudalesimo in Sicilia, facendone importante fulcro del loro vastissimo territorio feudale.
Abbandonato all' incuria, e poi dato in cava ai cittadini che ne deturparono l'andamento sino a renderne difficilissima la comprensione degli apparati, è oggi inserito in un bel parco urbano di nuovissima creazione che comprende tutta l'area alta del paese con i resti delle fortificazioni e della acropoli antica. Oggi, purtroppo,solo pochi ruderi mostrano la vastità degli ambienti.
La disposizione dei manufatti per la difesa, tuttavia, testimonia la genialità degli architetti del tempo. Le strutture murarie superstiti sono quelle rivolte verso la vallata sottostante, addossate alla viva roccia. Qui c' era la zona residenziale del castello mentre nella parte che guarda Assoro erano alloggiate le truppe e piazzate le strutture di difesa ed i magazzini. Per arrivare al castello si deve attraversare per intero l' abitato di Assoro.
Le fortificazioni medievali sono, come non è raro nella provincia ennese tutta, ricavate con un sapiente gioco architettonico tra i volumi scavati nella roccia e quelli costruiti con murature forti e solide.
Planimetricamente il castello, posto sui luoghi della antica acropoli classica, doveva avere un andamento poligonale irregolare, modulato assecondando le forme delle rocce della sommità della rupe su cui insiste l'antico abitato (901 m. s.l.m.).
Il castello assume una importanza notevole non solo come luogo di controllo di un vastissimo feudo (Assoro ancora oggi è tra i comuni siciliani con territorio più vasto) ma anche come postazione lungo la strada che da Catania ad Est consentiva di raggiungere Palermo attraversando i principali centri dell' interno isolano.
Ancora si vedono una grande cortina muraria conclusa da un torrione pieno a pianta circolare, munito sino a pochi anni addietro di beccatelli in pietra e unico esempio di torre albarrana in Sicilia, quasi una prova della ibericità della famiglia Valguarnera che certamente sul castello dovette più volte intervenire.
Una seconda cortina munita di finestre che guarda verso la valle, un ambiente sotterraneo di passaggio munito di una scala elicoidale scavata nella roccia, altri ambienti ricavati nella roccia e voltati a crociera che, ad un primo esame paiono aver avuto funzione di magazzini anche a giudicare dalle canalette di scolo delle acque ricavate sul fondo degli stessi.
Nelle rocce adeguatamente scolpite per dar agio alle murature si nota poi una particolarità veramente interessante: accanto ai grandi fori per le travature dei pavimenti e dei solai compaiono in più punti lunghe serie di petroglifi lineari, tutti uguali, la cui interpretazione è veramente ardua.
Duomo di Piazza Armerina
Risalendo la via Cavour si giunge in piazza Santa Rosalia, recentemente restaurata, dove prospettano sulla destra il Palazzo Trigona di Canicarao (XVII sec.) e sulla sinistra l’ex pretura, già sede della centrale elettrica, oggi sede dell’Università. Poco più avanti, al visitatore viene offerto il maestoso spettacolo dell’ex convento di San Francesco (XVIII sec.), col famoso balcone del Gagini, che precede di poco la vista del Duomo. Ci sono voluti quasi tre secoli per completare questa imponente opera, dal maestoso portale con colonne tortili, fortemente voluta dal barone Marco Trigona, il quale, alla sua morte, nel 1598, istituì un lascito per la costruzione di un edificio religioso più sontuoso della preesistente quattrocentesca Chiesa Madre, di cui oggi rimane il campanile in stile gotico-catalano nella parte inferiore, con rimaneggiamenti cinquecenteschi nella parte superiore. L’interno, a croce latina, ha una grande navata con cappelle laterali comunicanti e custodisce numerose opere d’arte, tra le quali segnaliamo la secentesca tela dell’ Assunzione della Vergine di F. Paladini, collocata sopra l’altare del transetto sinistro, il Martirio di Sant’Agata di Jacopo Ligozzi e la Croce lignea di scuola antonelliana di ignoto, denominato convenzionalmente Maestro della Croce di Piazza Armerina, dipinta su entrambe le facce (Cristo Crocifisso, nella parte anteriore, Cristo risorto, nella parte posteriore).
Nella stessa piazza, al centro della quale è posta la statua del Barone Marco Trigona, raffigurato nel gesto di offrire la cattedrale alla città, si affaccia anche il palazzo dei Trigona della Floresta (XVIII sec.), che presto, si spera, diventerà degna sede del museo archeologico cittadino.
Dove mangiare e dove dormire
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per altre info http://www.siciliasud.it/
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